A che serve l’arte e cosa ha a che fare con ChatGpt?

Sull’arte e il suo scopo sociale ho avuto modo di riflettere parecchio nelle ultime settimane, complice il lavoro di mentoring fatto con Camilla, una studentessa che ho aiutato nella preparazione della domanda di ammissione al master in History of Arts nel Regno Unito. **

L’arte ha sempre avuto un ruolo sociale, mutato nei secoli insieme alle abitudini, ai bisogni e alla realtà sociale in cui ogni artista si è mosso.

Che si trattasse di arte al servizio del potere, o di arte “di rottura” per smuovere le coscienze, diffondere modelli di vita e valori, scandalizzare e cercare di contribuire al rinnovamento della società, poco importa.

L’arte non è mai stata solo estetica nè fine a se stessa, ha sempre avuto un ruolo e uno scopo “altro” (a parte le opere “senza titolo”, che per me non hanno nessun ruolo né senso, ma lasciamo perdere…).

AI e Arte: perché abbiamo bisogno di più formazione umanistica nell’era dell’Intelligenza Artificiale

L’arte generata dalle AI ha ancora uno scopo sociale?

Ma l’arte ha un ruolo sociale anche se le opere di cui parliamo sono stata create con l’intelligenza artificiale?

E più in generale, le immagini e le opere generate dalla (o con la) intelligenza artificiale sono opere d’arte?

Tanto si è già scritto a proposito di AI, del suo possibile impatto sul tasso di occupazione in alcuni settori e sul nostro stile di vita, di fake news e foto create ad arte, ma anche di opportunità possibili per chi le saprà cogliere o creare.

Un punto di vista che ho trovato interessante è stato proprio quello degli artisti, e in particolare quello degli artisti (oltre 1000 in tutto) che, in collettivo, a Maggio 2023 hanno pubblicato una lettera aperta per allertare sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul loro mondo e sul loro lavoro.

Uno dei punti cardine di questa lettera aperta riguarda la mancanza di tutela adeguata per la proprietà intellettuale artistica, a causa del modo in cui le intelligenze artificiali funzionano.

Le Intelligenze Artificiali (perché non c’è solo ChatGPT) si alimentano infatti grazie a 2 fattori:

  • le domande che noi umani facciamo alle AI, come già Maurizio Ferraris ha sottolineato in un suo articolo di Gennaio 2023;
  • i dati disponibili online, i milioni di siti web, immagini, social media e contenuti che ogni giorno inseriamo in rete (compreso questo che state leggendo).
    Nella loro “Restrict AI Illustration from Publishing: An Open Letter“, gli artisti guidati da Molly Crabapple riflettono sul ruolo delle immagini nel tempo e sull’evoluzione del ruolo delle immagini stesse nella comunicazione, come mezzo espressivo.

Fin dagli albori del giornalismo su carta, le illustrazioni, le foto e le immagini sono state un valido supporto per chiarire punti di vista, informare, fornire prospettive ulteriori al lettore.

Le abilità di un illustratore parlano di vissuto personale e valori, ma anche di come questi si collegano intimamente alle notizie e ai testi che corredano, al lato quindi umano di chi crea arte e di chi ne usufruisce.

Questa convergenza tra testi e immagini, tra scrittura e illustrazione come forma di espressione sono, secondo il collettivo, a rischio con l’avvento di AI generatori di immagini.

Ma, se anche fosse, qual è il vero problema, in fondo?

A mio parere, i problemi – o questioni- principali da considerare sono 2.

Problema numero 1: La sostenibilità economica

Le Ai Generative posso creare, con il giusto prompt, immagini e illustrazioni in pochi minuti e a costi bassissimi, o gratuitamente, cosa che è impossibile per un illustratore umano.

Il risultato, non molto diverso da quanto citato pochi giorni fa da Silvia Pareschi a proposito della professione dei traduttori professionisti, è l’abbassamento della qualità del prodotto su larga scala.

Questo farà si, si prevede, che solo una piccola elite di artisti (e traduttori) possa rimanere sul mercato e vivere del loro lavoro, il cui risultato verrà considerato un prodotto di nicchia e di lusso accessibile solo a pochi, quelli che possono distinguere per qualità e pagarne il rispettivo valore.

Problema numero 2: La tutela del diritto d’autore

I software di Intelligenza Artificiale lavorano processando una enorme mole di dati, in modo spesso non noto nemmeno ai loro stessi creatori, e senza riconoscere il giusto compenso agli autori dei contenuti originari.

Le cause legaii contro le software house da parte di autori e artisti sono già iniziate, e il diritto d’autore in materia ha difficoltà a garantire sufficiente tutela, come spesso succede.

Le Ai porteranno ad una nuova rivoluzione industriale?

I due problemi sopra citati sono nuovi, o in effetti sono solo il ripetersi di vecchie problematiche applicate a strumenti nuovi, come le AI?

In fondo, le piccole sartorie di quartiere hanno già lasciato il posto al fast fashion da tempo, l’artigianato e il fatto a mano alla produzione di massa, la cucina casalinga al fast food e all’asporto e così via.

Alla fine, per necessità o per mancanza di abitudine al bello e al buono, ci siamo abituati (o abbiamo fatto buon viso a buon prezzo) in molti settori.

Si, ci sarà un cambiamento, probabilmente con lo stesso impatto che ha avuto a suo tempo la rivoluzione industriale sull’economia e la società.

Ma sul serio ci disabitueremo al bello e alla creatività umana, nei campi dell’arte come della linguistica e della letteratura, per bearci di copie e rielaborazioni di quanto è già stato fatto in passato?

Non lo so, dipende probabilmente da quello che consideriamo “creatività” e “intelligenza”.

Quanto sono intelligenti le intelligenze artificiali?

Un articolo che ho letto sulla rivista Nodes (numero 19-20), a firma di Emanuele Arielli e Lev Manovich si interroga proprio su questi concetti.

L’intelligenza artificiale esiste in realtà da molto prima dell’avvento di Chatgpt, almeno nell’ambito di ricerca scientifica.

Sono state già create opere in perfetto stile Rembrandt nel 2016 con il Deep-learning, e la 10ma sinfonia di Beethoven è stata completata da esperti di musica e AI nel 2021.

Le domande che gli autori di questa pubblicazione scientifica si pongono sono tante, e riguardano sia l’autorialità di un’immagine (creata tramite software e Intelligenze Artificiali) che il concetto stesso di creazione e creatività.

Computer, smarthphone, software sempre più complessi processano dati a velocità che un essere umano non può sostenere, e possono dare risultati “creativi” (nel senso di un output che non esisteva prima) soddisfacenti allo scopo.

Se chiedo a ChatGPT di scrivere per me un articolo per questo blog, posso ottenerlo fornendo indicazioni adeguate (i Prompt), e così posso corredarlo con immagini ottenute con i software generativi appositi.

Così, se uno studente fa scrivere il suo personal statement per l’ammissione universitaria all’estero a ChatGpt, può fare un discreto lavoro e forse anche essere ammesso ad una università poco selettiva.

Ma chi è poi l’effettivo autore dell’articolo o dell’essay? È creatività dare un output ad un software generativo?

O invece la creatività sta nel processo sottostante e precedente, cioè nel processo di notare il problema da risolvere e creare il prompt per farlo risolvere?

In sostanza, è creativa la macchina o la persona che usandola ha cercato risposte alle proprie domande?

Da persona creativa e curiosa quale sono, mi risulta difficile pensare che traduttori, scrittori, artisti, ma anche consulenti come me, possano essere soppiantati in toto dalle AI.

Il lavoro cambierà, ma non lo fa comunque ogni giorno, nei modi e nei contenuti?

Le opere d’arte sono il risultato del vissuto di un artista, i valori, il suo scopo, la sua storia personale, e non sono, né saranno mai a mio parere, equiparabili a quelle generate dalla AI.

Le sfumature del linguaggio scritto o della comunicazione verbale, nel fare domande e nel dare risposte non sono a mio parere replicabili davvero.

Il modo e il tono con cui rispondo alle mie email o alle telefonate di studenti e genitori che si informano sulle esperienze di studio all’estero sono mie, e fanno la differenza tra il far nascere o meno un rapporto cliente-consulente.

Queste sfumature una macchina non può coglierle nemmeno con i prompt più all’avanguardia.

Siamo esseri umani e, a differenza di quello che pensavano gli economisti decenni fa, siamo tutto fuorché prevedibili.

Facciamo domande che sottendono altre domande che non abbiamo il coraggio di esplicitare, e quanto più le facciamo quanto meno le macchine possono sostituirci in termini di “intelligenza” artificiale.

Per citare nuovamente Maurizio Ferraris:

Abbiamo dei bisogni che ci fanno tendere verso qualcosa con una urgenza che nessuna macchina mai possiedere”.

 

Qual è il segreto per battere le AI?

 Il segreto per battere le intellingenze artificiali non è (solo) una legge europea che ne regolamenti l’uso e nemmeno il divieto delle AI.

Il segreto, secondo me, sono più studi umanistici.

In un mondo polarizzato in cui le opinioni devono essere o bianche o nere, e facili da incasellare in parti o colori, con sempre minore tempo dedicato alla riflessione e al confronto di idee complesse, gli studi umanistici possono fare la differenza (e non lo dico solo perché io stessa ho frequentato il Liceo Classico!).

Le materie STEM sono importanti, ma per come la vedo io, hanno un problema di fondo: cercano di dare risposte a tutto, di rendere tutto semplice, chiaro, prevedibile e categorizzabile.

Ma lo sappiamo che noi esseri umani e i nostri comportamenti non sono così: noi esseri umani siamo imprevedibili anche nonostante l’avanzamento delle neuroscienze e della psicologia.

 

In un’epoca come la nostra, di grandi cambiamenti e di carenza di risorse naturali per tutti, dovremmo farci più domande e sentirci meno in dovere di trovare sempre risposte.

A volte semplicemente non sono le risposte quello che cerchiamo, ma i dubbi.

Siamo uno dei pochi Paesi in Europa che ha filosofia come materia di scuola superiore, almeno in alcuni indirizzi.

Meglio di noi, fa solo la Francia, che l’ha resa obbligatoria per tutti gli studenti del liceo.

Usiamola, non solo per studiare il pensiero dei filosofi del passato, ma per imparare a filosofeggiare, cioè a farci domande senza cercare risposte.

Al liceo, il docente che ricordo di più è stato un supplente di filosofia: il programma di filosofia non lo abbiamo terminato per mancanza di tempo, ma le sue ore erano stimolanti e trascorrevano rapidamente. Il suo metodo di insegnamento non era la lezione frontale classica, ma la conversazione con noi studenti, introducendo i concetti di base e stimolandoci a chiederci cosa ne pensassimo e perché su temi non banali.

Questo tipo di insegnamento delle materie umanistiche è quello che, io credo, serva alla scuola italiana in ogni ordine e grado.

Iniziamo a chiederci più spesso “E se invece?”, oppure “Che succederebbe se…?”, e il classico “Perché?” dei bambini.

Porsi domande non è complicarsi la vita, ma accettare la complessità della vita stessa, che raramente offre risposte facili.

Diventeremmo più tolleranti, e aiuteremmo i giovani a crescere più fiduciosi nel presente e nel futuro, perché saprebbero che avere dubbi e domande va bene, è legittimo ed è anche molto più interessante che avere risposte pronte.

E anche a usare nel modo corretto le intelligenze artificiali per migliorare il nostro mondo e la nostra vita anziché cercare scorciatoie rapide ma di livello scadenze.

 

**Siete curiosi sull’esito delle domande di ammissione al Master nel Regno Unito di Camilla?

Ammessa e per giunta con invito diretto da parte del Capo Dipartimento! Congratulazioni!

Guest post e collaborazioni sul blog

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Antonella Crisafulli

Antonella Crisafulli

International Educational Consultant e Orientatore per percorsi di studio all’estero in scuole superiori e università e vacanze studio.
Aiutare gli studenti a trovare il percorso di studi all’estero più adatto alle loro aspirazioni è quello che amo del mio lavoro.
Non concordo con chi definisce i “giovani di oggi” in modo negativo. Dietro insicurezze, atteggiamenti baldanzosi o silenzi, si nascondono sogni, progetti e potenzialità tutte da scoprire.
I miei interessi spaziano dalle lingue straniere all’interculturalità, alle neuroscienze e la pedagogia, la didattica, la psicologia, il marketing, l’arte.
Il bello di questo lavoro è anche che tutto ciò che imparo in modo autonomo mi “aiuta ad aiutare” in modo più consapevole.
Su questo sito web e blog condivido idee e informazioni per le famiglie e gli studenti interessati a intraprendere un percorso di studio all’estero.

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